Frode in commercio ed etichette alimentari, i casi atipici

La frode in commercio (articolo 515 codice penale), come è ben noto agli addetti ai lavori, è il delitto che corrisponde all’illecito civilistico del c.d. ‘aliud pro alio’. La vendita cioè di un prodotto (o servizio) obiettivamente diverso, e di minor valore, rispetto a quello promesso. È palese nella vendita di alimenti contraffatti, ma può configurarsi anche in alcuni casi atipici, come quelli di seguito citati:

1) Denominazione legale, non-conformità

Uno dei casi più frequenti di frode in commercio è quello di vendita di alimenti che non rispondano – nella composizione e modalità di preparazione, nelle caratteristiche chimico-fisiche o nelle proprietà organolettiche – ai criteri definiti da apposite normative (europee o nazionali) per l’impiego della denominazione legale invece utilizzata. L’ipotesi più ricorrente è quella di miscele di oli d’oliva vergini e raffinati venduti come extra-vergini, ma la casistica può estendersi fino ad alcuni prodotti dolciari da forno e a quelli di salumeria che non rispondano ai requisiti stabiliti, rispettivamente, nei decreti interministeriali del 22.7.05 e 21.9.05.

2) Omissione di ingredienti dall’elenco obbligatorio

L’incompletezza della lista degli ingredienti integra di per sé una violazione amministrativa specifica. Può tuttavia configurarsi una frode in commercio, laddove l’omissione risulti funzionale ad attribuire al prodotto un valore superiore rispetto a quello effettivo. A maggior ragione ove a ciò si accompagnino false dichiarazioni del tipo ‘free from…’ (es. senza conservanti, in un prodotto che invece li contenga senza tuttavia citarli in elenco).

Giova inoltre sottolineare un altro rischio di illecito penale legato alla incompletezza della lista degli ingredienti, che ricorre nel caso di mancata citazione della presenza di ingredienti allergenici (lesioni o omicidio colposo, in ipotesi di reazione patologica di consumatori vulnerabili).

3) Citazione in etichetta di ingredienti diversi da quelli utilizzati. Idem c.s.

Vale la pena annotare che, in tutti i casi in cui il ‘valore percepito’ dell’ingrediente falsamente riportato in etichetta sia maggiore di quello delle diverse materie prime impiegate, la prova del delitto di frode è pressoché invincibile. Un esempio su tutti, la falsa dichiarazione d’impiego di olio extra vergine di oliva in un prodotto da forno invece realizzato con olio di sansa, o di semi oleaginosi.

4) Ingrediente caratterizzante, mancata o mendace dichiarazione della quantità

Corre l’obbligo, da oltre vent’anni, di specificare la quantità dell’ingrediente che caratterizza il prodotto in quanto citato in etichetta o pubblicità (es. tartufo in un olio aromatizzato al tartufo) o comunque generalmente associato alla categoria di prodotto (es. mandorle nel torrone).

La mancata indicazione della quantità dell’ingrediente caratterizzante (da esprimersi in termini percentuali rispetto alla quantità totale delle materie prime immesse) è punita con sanzione amministrativa specifica. A meno che, come nel caso di dichiarazione mendace ovvero nel caso di seguito esposto, possa evincersi l’intenzione di frodare il consumatore, offrendo una merce di valore effettivamente inferiore.

5) Lista ingredienti, variazione dell’ordine ponderale

Qualora gli ingredienti non siano riportati in fedele ordine decrescente di peso – in particolare, quando da ciò derivi una falsa rappresentazione di maggior pregio della composizione dell’alimento – può configurarsi il delitto di frode in commercio.

Anche in tal caso, come in quello di cui al superiore punto 2, l’obiettiva discordanza dei valori – ponderali ed economici – costituisce prova quasi invincibile.

6) Origine fallace

Sono ricorrenti le contestazioni del delitto di frode in commercio in relazione a geo-referenziazioni non veritiere. Al riguardo, è d’uopo tuttavia tenere ben distinti i concetti di origine dell’alimento (vale a dire, il luogo ove il prodotto ha subito la sua ultima trasformazione sostanziale) e provenienza delle materie prime.

La squadra di FARE (‘Food & Agriculture Requirements’) integra le competenze tecnico-scientifiche con quelle di diritto alimentare al preciso scopo di garantire una scrupolosa analisi dei rischi legati alla non conformità di etichette e pubblicità.

Dario Dongo



Translate »