- 19/03/2019
- Postato da: Marta
- Categorie: Domande e risposte, Notizie

Egregio avvocato,
la nostra società produce e confeziona aceti di vino. In relazione a un aceto in bottiglie di p.e.t., abbiamo eseguito prove di laboratorio che garantiscono la non migrazione di sostanze, dal materiale a contatto all’alimento, a 36 mesi di distanza dal confezionamento.
Le chiedo perciò un parere in ordine all’opportunità di introdurre in etichetta un TMC di altrettanta durata.
RingraziandoLa per il prezioso aiuto,
Distinti saluti
Gian Paolo
Risponde l’avvocato Dario Dongo, Ph.D. in diritto alimentare europeo
Caro Gian Paolo,
il termine minimo di conservazione (TMC) viene apposto dall’operatore responsabile dell’etichettatura al preciso scopo di consentire al consumatore un utilizzo appropriato della derrata alimentare. (1)
Tale data, da citare con l’apposita dicitura ‘da consumare preferibilmente entro’, ha la duplice funzione di garantire la sicurezza alimentare e il mantenimento delle caratteristiche organolettiche proprie del prodotto. Tenuto conto delle ‘condizioni d’uso normali dell’alimento’, ma anche delle informazioni esposte in etichetta. (2)
Gli aceti – come i vini e prodotti simili, il sale da cucina, gli zuccheri allo stato solido, etc. – non sono soggetti alla menzione obbligatoria del TMC in etichetta ai sensi del ‘Food Information Regulation’. (3) Nondimeno, l’indicazione della durabilità può risultare doverosa a garantire la sicurezza alimentare.
Il regolamento sui MOCA (Materiali e Oggetti a Contatto con gli Alimenti) prescrive invero la sicurezza dei materiali e articoli destinati al contatto con alimenti, ivi inclusi gli imballaggi. Nel rispetto dei requisiti di idoneità tecnologica e delle buone pratiche di fabbricazione (GMP). (5) In particolare, gli operatori responsabili devono garantire che i MOCA, in condizioni d’impiego normali o prevedibili, ‘non trasferiscano ai prodotti alimentari componenti in quantità tale da:
a) costituire un pericolo per la salute umana,
b) comportare una modifica inaccettabile della composizione del prodotto alimentare, o
c) comportare un deterioramento delle sue caratteristiche organolettiche.’ (4)
L’analisi del rischio deve venire eseguita sulla base delle norme europee, per quanto attiene ai materiali oggetto di disciplina armonizzata, ovvero di quelle nazionali (in difetto di armonizzazione).
Il PET si annovera tra i materiali plastici destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari ed è perciò soggetto ad apposite regole europee. (6) In particolare per quanto attiene a:
– conformità compositiva del prodotto, la formulazione deve essere coerente con le liste positive di sostanze ammesse dal regolamento (UE) n. 10/2011,
– conformità analitica, da verificare mediante prove di laboratorio sul materiale o l’articolo (in questo caso, un contenitore) nella sua forma finita. Va da sé che tale conformità debba venire accertata e garantita nell’intero corso della ‘shelf life’ del prodotto.
Le prove analitiche devono venire condotte in condizioni rappresentative dell’utilizzo concreto dell’articolo, tenuto anche conto delle caratteristiche chimico-fisiche degli alimenti ivi contenuti. Oltreché, appunto, dei tempi e delle temperature massime di conservazione. I risultati delle prove di migrazione ottenuti nei prodotti alimentari, oltretutto, prevalgono sui risultati ottenuti nei simulanti alimentari.
Nel caso di specie, è dunque necessario ai fini della sicurezza alimentare introdurre un TMC per comunicare al consumatore il termine entro il quale il prodotto alimentare può venire utilizzato in condizioni appropriate. Tale termine può venire definito nei 36 mesi, laddove le prove eseguite da un laboratorio accreditato attestino l’assenza di migrazione di sostanze potenzialmente pericolose entro tale data.
Non può viceversa ammettersi l’estensione della durabilità qualora il processo di interazione tra alimento ed imballaggio non sia stato monitorato e controllato mediante analisi di laboratorio. Né tantomeno può venire ammessa la mancata apposizione in etichetta del termine di conservazione, fatta salva la sola (e remota, se non impossibile) ipotesi in cui si possa escludere con assoluta certezza il rischio di fenomeni di migrazione di sostanze indesiderate.
La doverosa e appropriata valutazione del rischio non può infatti esimersi dal considerare il prodotto alimentare nella sua interezza. Vale a dire come sistema costituito dall’insieme dell‘alimento con l’imballaggio che lo avvolge o contiene.
Cordialmente
Dario
Note
(1) V. reg. UE 1169/11, articoli 9.1.f e 24, Allegato X.1.c
(2) Cfr. reg. CE 178/02, articolo 14.3
(3) V. reg. UE 1169/11, Allegato X.1.d
(4) V. reg. CE 1935/2004, ‘riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari’, articolo 3.1
(5) V. reg. CE 2023/06, sulle buone pratiche di fabbricazione dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto con prodotti alimentari
(6) Cfr. reg. UE 10/11, ‘riguardante i materiali e gli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e successivi aggiornamenti’